Enel, la verità del DG Corso: 'Ecco i motivi della retrocessione'
17/05/2011 12:51
La dura contestazione della gente del palaElio, contro la squadra nella sua interezza, lo staff tecnico e medico, e che ha coinvolto anche il gruppo dirigenziale dell'Enel Basket, avrebbe ammazzato anche un toro. Il giorno dopo, l'eco dei fischi che hanno accompagnato il pomeriggio sportivo in città rimbomba dappertutto. Gli strali più violenti sono stati indirizzati nei confronti del direttore generale del sodalizio, Antonello Corso, nei cui confronti, subito dopo la gara ha espresso solidarietà il presidente Antonio Corlianò. Tanto a conferma della solidità che accompagna, da sette anni, i cinque componenti il consiglio di amministrazione del sodalizio: Massimo Ferrarese, Giuseppe Marinò, Antonio Corlia-nò, Sergio Ciullo, Antonello Corso.
È stata addebitata a lei la mancata conferma di Abdul Omar Thomas.
«Niente di più inesatto. La verità è che nel febbraio del 2010, avevo raggiunto un accordo con l'agente di Thomas: il signor Capicchioni. Lo stesso mi aveva assicurato che il giocatore non si sarebbe mosso da Brindisi. Un mese dopo,
Thomas ha cambiato agenzia firmando un pre-contratto con l'Air Avellino, per un biennale a 300mila dollari a stagione. Di tutto ciò fummo informati con una lettera. Non intendendo giocare al rialzo, lasciammo cadere la cosa, anche perché, a marzo, il campionato non era ancora concluso. Thomas ha avuto un comportamento scorretto facendo dichiarazioni non veritiere».
Joe Crispin era diventato, strada facendo, un beniamino del pubblico brindisino. Fra l'altro aveva dimostrato di sapersi adeguare alle direttive del coach.
«È stato coach Perdichizzi a non considerare Joe Crispin un giocatore in grado di assolvere al suo compito in A».
Identico il discorso per Michele Cardinali.
«Il giocatore chiese di andar via da Brindisi. Non intendeva essere la spalla di Giuliano Maresca che, a sua volta, sarebbe stato la spalla di Chris Monroe. Aveva voglia di giocare e preferì andar via».
Un altro episodio da chiarire la "fuga" di Nicola Radulovic.
«Nelle intenzioni dell'allora tecnico avrebbe dovuto giocare 10-15 minuti a gara. La qual cosa era nelle condizioni fisiche del giocatore. Poi, cambiarono le cose e quando intuì che avrebbe dovuto restare in campo molto di più preferì andar via, anche perché allettato da un buon contratto a Scafati».
Una parola chiara sul "problema
Williams", sul quale, dopo gli applausi decretati in piazza Duomo, si sono fatte diverse ipotesi.
«
Lo staff medico stabilì che era vittima di un'ernia iatale. Fra l'altro, nel corso dei pochi giorni di permanenza con noi, ebbe un comportamento non consono al nostro modo di concepire un atleta. Non scendo nei particolari per rispetto alla privacy. Posso solo dire che noi non lo ritenemmo abile per essere un atleta della nostra squadra. La decisione, ad ogni modo, fu assunta dall'intero consiglio di amministrazione».
Giacché ci siamo, perchè si lasciò partire anche Silver Bryan?
«Il tecnico non lo ritenne utile per il campionato di serie A. È un passaportato che non avrebbe fatto al caso nostro».
Ed ora il "caso Monroe" (nella foto).
«Non è vero che arrivò già infortunato. Noi non abbiamo fatto altro che assecondare il coach che immaginava un suo recupero immediato. È andato via quando abbiamo capito che non avrebbe mai potuto giocare questo campionato».
Coach Perdichizzi vi accusò di essere dei dilettanti.
«Era la scappatoia studiata per andare via da Brindisi, trovando l'escamotage per avere anche un incontro economico».
Perché non fu preso quale play Clark, poi finito a Venezia, il quale era di gradimento di coach Perdichizzi?
«Spieghiamo bene anche questo passaggio:
noi avevamo un budget che il coach ci fece spendere quasi interamente per Diawara, Williams e Monroe, costati tutti e tre circa 900mila euro. A quel punto feci presente al coach che con il restante budget dovevano arrivare due play e un'ala. Contattammo
Clark, ma il giocatore non accettò, perché intendeva seguire coach Mazzon a Venezia. Fra l'altro,
il suo costo (350mila euro e contratto biennale) non era nelle nostre possibilità per i motivi accennati. Anche l'avellinese Spinelli ci chiese un biennale a I5Omila euro. Si spiegano così gli arrivi di Bobby Dixon e Tony Giovacchini, scelti sempre dal coach. Sulle cui segnalazioni nessun dirigente ha messo mai naso, com'era giusto che fosse».
Avreste potuto confermare Mauro Pinton. Non crede?
«Lo ripeto: sulle scelte tecniche non abbiamo mai discusso. Pinton non lo voleva Perdichizzi. Anche lui non fu ritenuto utile alla causa».
Qual è stato, a suo modo di vedere, il vero motivo della stagione disastrosa dell'Enel?
«La mancanza di attaccamento alla maglia. Per nostra fortuna oggi sono tutti andati via da Brindisi. Anche per Toure c'era la possibilità di uscita nel caso di retrocessione. Quindi, tutti liberi di accasarsi altrove».
Lo ha detto come una liberazione. Giusto?
«Hanno badato esclusivamente ai loro interessi».
Sono quindi tutti da bocciare?
«No, una nota di merito per Infante e Maresca. Sono due veri uomini che sono usciti distrutti dal campo. Sono stati oltremodo mortificati dal loro coach».
Ostracismo anche per coach Luca Bechi?
«Non capisco il motivo per il quale Bechi non li abbia impiegati. Avrebbero meritato anche loro la disapprovazione del pubblico. Ad ogni modo, il suo comportamento nell'ultimo incontro non l'ho affatto condiviso».
Confermerà le sue dimissioni?
«Non sono dimissioni, ma remissione del mandato ricevuto sul quale deve esprimersi il consiglio di amministrazione. I cui componenti meritano ogni rispetto per quan- to hanno saputo dare a Brindisi ed alla pallacanestro nell'arco dei sette anni in cui hanno operato. Non va guardata solo l'ultima stagione, ma l'esame va fatto su tutto il periodo durante il quale questi uomini, che non hanno competenze tecniche, sono rimasti al comando».
Franco De Simone - La Gazzetta del Mezzogiorno
Trovato il giocatore simbolo «Daniel ha sfatato un tabù»
Il presidente Del Moro si felicita per la scelta più azzeccata.
IERI SERA patròn Scavolini ha riunito squadra e staff nella sua villa in collina per chiudere la stagione a tavola, come consuetudine. Tutto sommato in società si respira soddisfazione per quanto costruito in questi mesi, con qualche piccolo rimpianto per quello che si poteva fare in più, se ostacoli di vario genere non si fossero frapposti fra una salvezza raggiunta in maniera più che tranquilla ed un playoff sfumato alla penultima giornata.
"Questa stagione sarebbe stata eccellente se avessimo centrato i playoff, anche contro Siena, perché no? L’avremmo considerato comunque un traguardo prestigioso, anche se poi il pronistico era impossibile" dice il presidente Del Moro.
Che aggiunge:
"Chiedo ai tifosi di essere fieri di questi ragazzi: con tutti i limiti che c’erano in squadra, hanno comunque tenuto alto il nome di Pesaro. E credo che nessuna campagna abbonamenti potesse essere più azzeccata per l’immagine scelta: la foto di Hackett che si strappa la pelle di dosso mostrando di avere sotto lo strato una maglia biancorossa è emblematica. Daniel ha sfatato il tabù che voleva i pesaresi incapaci di essere profeti in patria".
E forse anche del futuro di Hackett si è parlato domenica sera a cena, quando presidente e general manager si sono incontrati a cena con il suo agente, che rappresenta anche Traini: due giovani di valore, due punti fermi nei programmi a venire. Saranno tra i pochi a restare in città insieme a capitan Flamini: per gli altri, stranieri e italiani di fuori Pesaro, è stato dato il rompete le righe e già oggi molti partiranno per far ritorno a casa.
Ma, come appare sempre più probabile, molti di loro dovrebbero far ritorno all’ovile per il prossimo campionato. A parte i giocatori contrattualizzati, le opzioni riguardanti Collins, Flamini e Lydeka dovrebbero essere utilizzate dal club a proprio favore,
visto che la guida tecnica rimarrà la stessa e si vuol dare un segno di continuità.
Sembrano salire anche le quotazioni di Diaz, almeno a sentire il commento spassionato che Dalmonte ha tracciato per lui alla fine della gara con l’Armani Milano:
"Guillermo ha sangue caldo dentro, conosce il suo valore e pretende molto da se stesso: perciò quando qualcosa che rientra nelle sue corde non gli riesce, si arrabbia. Ma si arrabbia con se stesso: qualche volta il suo prendere a calci le bottigliette è stato equivocato".
UN MESSAGGIO non casuale, che forse vuol sfatare chi sosteneva che fra il coach e il portoricano non ci fosse lo stesso feeling che lo lega agli altri. Come si è visto, ad esempio, negli ultimi secondi della partita di domenica, quando Hackett e il suo allenatore si sono abbracciati a scena aperta davanti alla panchina: il segno che il progetto costruito per lui è andato a bersaglio e che Daniel, forse anche grazie all’utilizzo da all-around pensato per lui da Luca Dalmonte, è esploso facendo vedere di poter stare sì in cabina di regia, ma anche negli altri spot di esterno facendo punti, creando gioco e difendendo su guardie e ali piccole.
Una scommessa vinta - e alla grande - a fronte di altre due perse male. Ma forse aver vinto quella su Hackett è più importante del resto: si cercava un giocatore simbolo e lo si è trovato, al di là di ogni aspettativa.