Alphonso Ford - I testi

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view post Posted on 13/6/2019, 14:48     +1   -1
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And therefore never send to know for whom the bell tolls; It tolls for thee

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CITAZIONE
La morte e’ un mistero, che un giorno tutti risolveremo. La punto e’ “quanto saremo pronti al momento del grande incontro”. Alphonso Ford era pronto ad affrontare questa dura prova e quando due anni fa minacciava di lasciare il basket, forse aveva intuito la fine. Noi lo ricorderemo per sempre…

Dieci giorni fa ho trovato il coraggio di chiamare a casa sua. Alzo’ il telefono una signora (probabilmente una parente, la moglie trascorreva le notti in ospedale) e con voce tremante mi disse che le cose non stavano andando bene. In quel momento sono rabbrividito.

Avevo gia’ una brutta esperienza con la leucemia e con quanto spietata sia. La mia ragazza, Konstantina, aveva 20 anni, avevamo appena finito la scuola. Allora mi sono detto tra me e me… Al se ne va. Un cancro bastardo uccideva la fiera. Cosi’ semplicemente, senza spiegazioni.

E’ un peccato, amico, fuggire cosi’ da noi, che non possiamo salutarti. La mia tastiera e’ ora inondata di lacrime, perche’ abbiamo pianto molto sia io, sia Papamakarios, sia Kritikos, sia gli altri ragazzi. Anche i tuoi avversari, che hai trattato come marionette sul parquet, hanno pianto per te. Alcuni che talvolta avevano osato asserire che tu giocassi dopato, con i farmaci di cui facevi uso necessariamente.

Che sapessero che sette anni fa, all’eta’ di 26, avevi iniziato a perdere la battaglia? Che sapessero che il tuo problema con il tuo sangue era molto piu’ grave di una quarantina di punti o di un risultato amaro? Una vittoria o una sconfitta. Ora lo hanno scoperto e chiedono perdono a Dio. Lo hanno imparato e lo abbiamo imparato tutti. Il problema era grave, talmente incredibile anche se la voce circolava.

Tu sapevi pero’, avevi percepito la fine e alcune precise cose che avevi rabbiosamente detto ora si sono rivelate come profezia, Diavolo! Sapevi che ti attendeva il destino e semplice aspettavi il momento in cui la Morte ti avrebbe chiamato a se’, per guadare insieme il fiume.

”Non giochero’ piu’ a basket. Via, fine, questo e’ tutto. Mi ritiro!” mi avevi confessato l’inverno 2002, prima di una partita tra Panathinaikos e Siena all’Holiday Inn. “Assolutamente no”, dissi io, ma continuavi ripetendo che alla fine della stagione avresti appeso le scarpe al chiodo, per dedicarti alla pesca nel Mississippi, la tua terra. Lontano dall’angoscia delle partite, lontano dalla pressione che condizionava gli altri, ma mai te. Volevi staccarti da tutto, “to stay away from shit”, come dicesti allora, ma solo tu potevi conoscere il tuo destino.

La tua follia per il basket era piu’ forte e successivamente due mesi dopo firmasti per la Scavolini, nonostante allora tu volessi fortemente giocare nel Panathinaikos, giocare con Obradovic, mi dicesti al telefono. Questa e’ una verita’, che mai e’ divenuta realta’. Per la meta’ dei soldi saresti rientrato ad Atene e io so cosa significava per te il denaro.

NIENTE! A lettere maiuscole. Come lo leggete! NIENTE! Ricevette 1.200.000 euro da Siena, piu’ o meno lo stesso dalla Scavolini, forse un po’ meno. “E quindi? Sappi che nel Mississippi non so che fare di questi soldi. La casa piu’ costosa costa 200mila dollari, e non parliamo di una casa semplice, ma di una villa. Per quello che riguarda la macchina? Ho preferito una Escalade e non la Mercedes 600 che sognavo. Perche’ se circolassi per strada con una simile macchina mi prenderebbero per un pappone o un mafioso. Qui dove mi trovo, tutti questi soldi non servono” mi aveva confessato, e mi fece pensare.

Ma la vita e’ ingiusta. E’ caduto il ragazzo migliore. I punti, le statistiche che i record personali non sono sufficienti a descrivere il carisma del suo carattere. Non possono descriverlo come persona. Perche’ pochi conoscevano Al. Non lasciava nessuno fuori dalla porta di casa. Non e’ un caso che molti suoi compagni adoravano la persona e non l’atleta Ford.

Il suo grande amore era il Peristeri e i suoi amici lo hanno vissuto. Anche in altre squadre aveva avuto amicizie, ma al Peristeri avrebbe giocato anche gratis. Al Papagou e allo Sporting divenne semplicemente conosciuto, onorando il contratto fino all’ultimo centesimo del contratto. All’Olympiakos sognava di giocare, ma se ne e’ se e’ andato ferito dalla nota storia con Subotic. In Italia ha trascorso due stagioni serene, adorato sia a Siena sia a Pesaro.
Dall’alto, dove ora si trova ora, si ricordera’ con piu’ cuore del Peristeri, di Papamakarios, Pelekanos, Tsartsaris, Kritikos, di coach Pedoulakis, il suo secondo padre, come lo chiamava.

Dicevamo che i 1.200.000 euro della Montepaschi non significavano niente. Semplicemente, deve essere ammirato anche da altri tifosi. E lo ricordino come uno degli scorer piu’ carismatici, quello che se voleva segnarti un canestro, te lo segnava, senza innervosirsi e sempre con il sorriso del killer. Solo con Radja arrivo’ alle mani, perche’ il croato colpi’ Pelekanos in una partita tra Olympiakos e Peristeri, e Pelekanos era il suo pulcino. Molto difficilmente poteva succedere qualcosa o qualcuno poteva farlo uscire di testa. O lo mettesse KO, almeno senza combattere.

Solo un avversario ce l’ha fatta. La morte non fa eccezione. Punisce persone sbagliate, quelle che non hanno colpa di niente. Quelli che non hanno mai fatto niente di male, anzi, combattono perche’ la loro famiglia possa condurre una vita serena. Lavorando duramente, avendo sempre la parola giusta sulle labbra.

Amico, te ne sei andato da noi a 33 anni. Lo dicevi e lo hai fatto. Hai lasciato i parquet, ma non lascerai mai i nostri cuori. Sarai sempre il solo e unico Al. L’amico, il “campione”, anche se non hai mai vinto un campionato. I titoli che hai vinto, pero’, da tutti noi rimangono e valgono di piu’. Buon Viaggio, e al prossimo incontro. “Later”, come dicevi sempre. Stai bene amico, e abbi cura di te, ovunque tu sia. Ti ringraziamo di tutto…

(Kostas Sotiriou, giornalista di “To Vima” e amico di Alphonso Ford)

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Post di SEOK

CITAZIONE
E’ sempre strano svegliarsi in certi giorni. Le sensazioni vibrano per tutto il corpo, mi sento agitato e vorrei che il salto a due non arrivasse così presto, ma allo stesso tempo ho una voglia matta di giocare. Riesco ancora ad emozionarmi, a sentire la gara, nonostante abbia perso il conto delle partite che ho disputato in vita mia. Saranno mille? Mi vengono in mente le grandi sfide di Greenwood, dopo la scuola oppure d’estate. Tutto il giorno, dal mattino alla sera. Meno di ventimila abitanti, due playground. Uno vicino alla stazione, non un filo d’ombra e l’Amtrak tra Chicago-New Orleans, che ferma per un paio di minuti scarsi e da cui non scende mai nessuno. L’altro tra i fiumi, lo Yazoo e il Tallahatchie, che per uno strano gioco di meandri scorrono affiancati per qualche centinaio di metri, l’uno nella direzione opposta dell’altro. Soldi, pochi. Zanzare, un’infinità. E tutte enormi. Non c’era verso per difendersi, né al campetto, né quando s’andava a pescare. Infernali bestiacce assetate di sangue. Basket, pesca, pesca, basket. Non mi sembra così lontana la vita a Greenwood, Mississippi, qui dove vivo ora. Forse il mare è più bello di quei fiumi torbidi, ma la gente è semplice come a casa mia. Ventimila anime di là, e a volte ne venivano tremila a vedere le nostre partite dell’high-school. Novantamila qui, oggi se veramente ci sarà il tutto esaurito come dicono, saranno più di diecimila.
Diecimila persone che ti guardano, che ti incitano, che ti sostengono. Magari che ti criticano, se giochi male. E’ un loro diritto, no? Loro pagano, il biglietto, e di conseguenza anche il mio stipendio. Ci tengono alla partita di oggi, la rivalità è forte e anche se sono qui in Europa da molto tempo, ancora non mi sono abituato del tutto. E pensare che ne ho viste tante, come quella volta con l’Olympiacos quando la partita fu sospesa perché dalle tribune i tifosi della mia squadra lanciarono di tutto contro gli arbitri e i giocatori del Panathinaikos. Ieri sera, sul lungomare, mi han fermato in parecchi. Ragazzini, ma non solo: « Mi raccomando, Alphonso, domani bisogna vincere a tutti i costi! Questa è una partita che non si può perdere ». Qui la gente ti ferma per strada e ti saluta, nessuno è troppo assillante, nessuno è sgarbato, nessuno esagera. Credo che loro meritino questa vittoria. Ci tengo anch’io a vincere, forse più di altre volte. Non vedo l’ora che arrivi il momento in cui si esce dal tunnel, in cui lo speaker ci chiama ad uno ad uno, in cui l’arbitro alza la palla verso il cielo. Loro non hanno ancora perso quest’anno, dieci partite, dieci vittorie. Mi sento bene. Ho voglia di giocare. Ho voglia di vincere.

Colazione l’ho fatta, abbondante. Mangerò ancora qualcosina più tardi, per non appesantirmi troppo. Questo è il momento in cui… i pensieri rallentano, come il tempo. E’ come quando devi prendere un aereo, sei già passato dal check-in, sei all’imbarco e ti comunicano che ci sarà un ritardo di mezz’ora. Non è una semplice mezz’ora, è molto di più. E’ un’attesa snervante, in cui voglio distogliere la mente dalla partita e pensare ad altro; la cosa peggiore, è giocare nella propria testa l’incontro mille volte. Farò questo, farò quest’altro, se quello difende così allora io farò cosà. Se gli arbitri. Se non mi entra il tiro da fuori. Se mi entra il tiro da fuori. Non esiste maniera migliore di questa per costruire la sconfitta nell’incontro del pomeriggio o della sera. Cerco di non pensare alla partita, ovvero penso al non pensare alla partita. In un modo o nell’altro, finisco col pensare alla partita. Metto un dvd nel lettore, per guardarmi un film, pur sapendo che ci sarà una circostanza, una scena, un istante, che mi porterà ad allegorizzare il comportamento del protagonista e ad immedesimarmi in lui, traslando tutto all’incontro di oggi. Forse dovrei imparare ad alzarmi più tardi, quando si gioca, magari andando a letto dopo le canoniche ore ventitre. Mi pare di sentire mia madre, « domani hai la partita, vai a dormire! ». Non se ne parla, a letto presto. Quel che dice mamma, non si discute. Mi attendono altre mattinate così.

Finalmente il palasport, come al solito l’appuntamento è due ore prima del Grande Momento. Sasha è arrivato per primo, come al solito, e si sta già facendo fasciare le caviglie da Gianluca. Bud e Rod giungono insieme, ed anche questa non è una novità. A me alle partite piace arrivare da solo, quando mia moglie e i bambini non sono in Italia ovviamente: mi rilassa guidare da casa al Palas, prendere la borsa, salutare il custode e tutte le persone che incontro nel breve percorso dal parcheggio allo spogliatoio. E’ come se l’agitazione del mattino scivolasse via. La sento fuoriuscire dal mio corpo, il brivido se ne va lasciandomi una sensazione di grande pace. E’ la quiete prima della tempesta, il silenzio prima della battaglia. Lo spazio è immenso, tra non molto quelle tribune ora deserte inizieranno a riempirsi, a colorarsi di persone, bandiere, striscioni. Se urlassi, in questo momento, si sentirebbe l’eco. Se urlassi tra un’ora, la mia voce non si udirebbe nemmeno, assorbita da altre migliaia.

« Con il numero 10, Alphonso Ford! »
No, non posso descrivere questo momento. Tutta l’energia del mondo entra dentro di me, come se un vulcano mi avesse catturato o avesse preso il mio posto. Manca veramente un niente, tra pochissimo gli arbitri chiameranno i tre minuti e ci sarà il breve tempo per segnare gli ultimi canestri o per qualche rituale scaramantico. Ognuno di noi sta pensando. Non conosco i miei pensieri, ma immagino quelli altrui: secondo Phil, il coach, dovrebbe marcarmi un ragazzo argentino molto forte fisicamente, Delfino. Gli ho dato un’occhiata durante il riscaldamento, cercando di capire come si muove, se è teso, se è in giornata sì, se in giornata no. Starà pensando a me, al fatto che il suo compito sarà durissimo, se veramente sono così forte come attaccante. Forse spera di essere l’eroe, del resto tutti lo vogliamo, no? Si gioca di squadra, ma tutti abbiamo nel cuore questo desiderio, di essere i protagonisti. Ce l’ho io, ce l’ha Delfino, ce l’ha anche Iacopo, che ha 17 anni ed oggi è qui con noi per la prima volta in questa stagione. Lui starà pensando « magari ci saranno problemi di falli e io dovrò entrare in campo, e segnerò alcuni canestri decisivi. Potrebbe succedere! ». Questo è il suo sogno, la paura magari gli suggerisce il contrario: « speriamo che nessuno si faccia male o debba uscire per falli. Io lì dentro non ci voglio mettere piede ». Anch’io a 17 anni ci cascavo. Si merita un buffetto sulla testa, ora che gli arbitri ci hanno richiamato alle panchine. Tra non molto, tutti questi pensieri svaniranno nel nulla, saranno sbriciolati, diverranno polvere. Non li ricorderemo più, né io, ne tutti gli altri.

Sì, si inizia bene! Volevo quella palla ed è stato bravo German a darmela, appena dopo la mia uscita dal blocco – blocco… una montagna! – di Eley. Difensore in ritardo, quindi arriva anche il fallo. Forse posso anche farmi un’idea di come andrà ai liberi oggi. Credo bene, va dentro. Non mi sta marcando il ragazzo argentino, ma Mancinelli. E’ giovane, dicono sia un’autentica promessa del basket italiano ma personalmente non lo conosco benissimo. Il fisico indubbiamente ce l’ha, alto, corre bene, bei movimenti. Ha la faccia giusta, da bravo ragazzo, forse merita di diventare un grande campione. Forse è troppo bravo ragazzo, vediamo se è anche un pollo. Gli svicolo via dopo la rimessa dal fondo… sì, non serve nemmeno il blocco. La prossima volta però non sarà così facile andargli via. Dentro anche questa. Mi piace l’esplosione del pubblico, ti fa impazzire di adrenalina. Forse questa mattina, mentre mi giocavo la partita nella testa decine di volte, avrò immaginato un inizio così positivo. Ma è solo l’inizio, per l’appunto, non si devono tirare i remi in barca. E’ la prima volta che vedo il palazzo così acceso, da quando sono arrivato; la mia impressione è che ci stiano davvero spingendo i tifosi questa volta. Siamo tutti galvanizzati, animati da quel vulcano che ho sentito dentro di me un istante prima dell’inizio. L’avversario, forse è quello. Rivalità forte, mi dicevano. Che strano, la stessa voce la sentivo anche l’anno scorso, quando giocavo da un’altra parte. Non lo capisco, non riesco proprio a capirlo e mi mette una gran rabbia: cos’altro dovrei fare, per meritare una conferma? Non sono un giocatore che chiede milioni, potrei guadagnare molto di più col basket. Non mi compro l’auto dei miei sogni perché a Greenwood mi darebbero del pappone o del mafioso, se girassi con quella. Faccio canestro. Mi alleno seriamente, ogni giorno. Vado d’accordo con tutti, non ho nessun nemico in particolare, eppure solo a Peristeri sono rimasto due anni filati. Chissà come se la cavano i vecchi amici, Mihalis, Giannis, Manolis, Alexej. Io so soltanto che ho questa palla tra le mani, e non importa se sono così lontano dal canestro. Deve andare dentro, per me, contro quelli che mi hanno sputato in faccia. Va dentro, e credo proprio che sia un canestro di quelli belli, che hanno un valore particolare. Siamo avanti, 21-6, l’allenatore avversario è costretto a chiamare un timeout. Vogliono spezzare il nostro ritmo, dubito s’aspettassero di trovarci così determinati. Phil è bravo, ha un minuto di tempo per tenerci concentrati, senza farci sbandare o rilassare troppo, e ci riesce. Rientriamo, German mi vede subito. Questa dovrebbe farli impazzire: ricezione, finta, tiro a parabola altissima. Dicevano questo, che il mio gioco fosse quello di un curioso americano tozzo e traccagnotto che lucrava giocando spalle a canestro. Compiacciamoli, questa volta. Magari il prossimo canestro lo segnerò per zittire quelle lingue biforcute, che sanno far male. Anche quando rimangono silenziose, che ti ricattano o compatiscono per i segreti che ti porti dentro. Aspettiamo, i compagni sono caldi anche loro e gli avversari mi paiono piuttosto in confusione: il blocco al mio difensore infatti l’ha portato il lungo in aiuto. Quanto mi piace il basket, quanto amo queste serate in cui quasi ti senti invincibile, in cui tutto pare essere di una semplicità assoluta. Mi piace prendere la palla tra le mani, sentirla, stringerla come se dovessi farla scoppiare, infilarla in quell’anello rosso. E’ ciò per cui sono nato, immagino. Ognuno di noi ha un talento, ed non c’è niente di meglio che riuscire ad esprimerlo. Io ce l’avevo per la pallacanestro e sono riuscito a giocare a pallacanestro, a vivere grazie a questa dote. Vorrei che chiunque potesse avere questa fortuna. Quella signora in prima fila ha veramente un abito inguardabile, di un color verde brillante che pare più un catarifrangente che un vestito. Suo marito deve veramente volerle bene, per non dirle niente e per farla uscire di casa. Ma cosa faccio, a cosa sto pensando? No, non mi devo distrarre. La partita. Passami la palla, Sasha, il mio difensore è in ritardo. E’ stato bravo, ha recuperato, forse però posso liberarmi in palleggio… sì, va dentro! La signora dal vestito inguardabile si è alzata di scatto agitando i pugni al cielo. Questo te lo dedico, ma cambia atelier, ti prego.
Questo però è canestro valido, arbitro! Arbitro, lui mi ha spinto col petto quando avevo già raccolto il palleggio. Ma guarda che razza di ‘bullshit’ ha fischiato! Son due liberi, non ci posso credere. Era validissimo quel canestro. Stiamo andando via, sul +17, ma non dobbiamo pensare che sia finita. C’è ancora tutto il secondo tempo da giocare, è lunghissima. L’altra squadra non sta giocando bene ma non si è primi in classifica imbattuti per caso. No, non devo pensare a chi sono gli altri. Ci siamo anche noi in campo, stiamo giocando da Dio, ci entra veramente tutto. Questo è il ragazzino che prima ha provato a simulare uno sfondamento… ragazzino, avrà 23-24 anni almeno. Mi mette in difficoltà, nel senso che mi concede sia il tiro da fuori, sia la penetrazione. Cosa fare? Tre punti, la gente, la mia gente, esplode. Siamo sul 51-31, non ce l’aspettavamo. Mi accorgo che è doloroso, per gli altri. C’è uno spicchietto di tifosi avversari, piuttosto vivaci per quanto coperti dai nostri: danno l’idea di essere piuttosto rassegnati, o comunque giù di corda. Non dobbiamo rallentare prima della fine del tempo, sarebbe molto pericoloso. Noi potremmo andare negli spogliatoi troppo rilassati, gli altri galvanizzati dalla piccola rimonta. E’ il momento più delicato della partita e invece i miei compagni sembra veramente stiano aspettando la sirena; voglio la palla io, per mantener desta la squadra. Chi mi sta marcando non ha capito un’acca, datemi quella dannata palla. Mi han dato quella dannata palla, due volte.

57-36, meglio di così non poteva andare. Phil non parla molto, è essenziale. In effetti non è che ci sia molto da dire. Non riusciremo ad ascoltarlo più di tanto, perché l’adrenalina è tanta, tantissima. Ognuno di noi ha un sacco di voci in testa. Più che altro un rimbombo, l’eco del pubblico, la voce dello speaker al microfono. Oltre questo muro proveranno a fare un discorso, più complesso. Come provare a rientrare. Cosa fare. Cosa non fare. Nemmeno di là ascolteranno. Stiamo sudando in maniera diversa, noi esplodiamo di caldo e pare abbiamo le vampate in testa; di là il sudore gronda, sulle guance, lungo la schiena, negli occhi facendoli bruciare. La chiamano paura di vincere, con un luogo comune. Però esiste, ed è capitato anche a me di buttar partite che la squadra stava dominando. Oggi non può andare così. Di solito non pongo mai questa domanda, ma oggi è diverso. « Ne hai segnati 24, Al ». Sono tanti, non credo di aver sbagliato molti tiri, due o tre al massimo. Anche quando ero al Peristeri, o al Papagou, o allo Sporting, non di rado segnavo molti punti. A volte esageravo, forzavo troppo, ma era soltanto perché vedevo i compagni in difficoltà. Se avessi realizzato molti canestri, avrei dato soprattutto una mano a loro e alla squadra, prima che al mio tabellino. Oggi sono tutti in palla, è impressionante. Rodney, Bud, Marko, Sasha. Dovessi giocar male nella ripresa, avrei comunque le spalle coperte. Che idea stupida! E’ così stupida che senza accorgermene sono già in campo a tirare. Toh, ecco l’argentino. Ventisei. Avverto qualcosa come… forse stanchezza, forse ho tirato anch’io i remi in barca. Come è possibile, nel terzo quarto, buttar via dieci punti in un niente? Eravamo sopra di 23, ora a poco più di un minuto dalla fine del periodo, siamo a +13. Non ho giocato bene, mi sono nascosto. Se perdessimo, sarebbe ridicolo, vergognoso. Posso guardare negli occhi tutto il palazzo, so quello che desiderano. Alcuni di loro, e non sono pochi, non avranno dormito la notte scorsa per la tensione, per l’attesa. E’ un derby più per loro che per noi… sono proprio loro a trasmetterci il significato di questa partita. Hanno fiducia, nei miei e nei nostri confronti. Saranno più di sette metri da canestro e Delfino… beh, Delfino difende duro e scivola molto bene. Più sedici, respiriamo. Quel ragazzino sotto il canestro, con lo scopettone, chissà se è uno delle giovanili. Mi sembra di sì, di averlo visto qualche volta prima dei nostri allenamenti. Avevo la sua età, quando a mezzogiorno ero al playground a respirare aria che pareva brodo e a combattere zanzare cannibali. Certo che lo sognavo, di vivere un giorno esperienze simili. Lo strano è che quando sei un bambino o poco più non pensi ai soldi, non sai nemmeno cosa siano. “Da grande farò il giocatore professionista di basket”, significa il pubblico che ti acclama, il firmare un autografo sulla canottiera col tuo numero che un tifoso ha comprato allo spaccio del palasport, percorrere i corridoi che conducono agli spogliatoi del Garden o calcare il parquet del Forum. Non significa felicità al momento di fare un estratto conto. Quando sei un bambino sei semplicemente onesto, puro, le tue ambizioni sono belle e semplici come sogni. Vorrei che quel ragazzino…sì, proprio quello stesso ragazzino che ha lanciato in aria lo straccio per festeggiare questo mio canestro – credo che ormai la partita sia vinta – possa vivere in questa maniera. Arrivare un giorno, a trent’anni, a svegliarsi al mattino con l’agitazione per la gara, ricordando la sua attuale età, quando magari andava al campetto indossando la mia maglietta, o quella di Sasha, sognando di giocare in serie A. Il sipario sta per chiudersi, questo è il mio ultimo tiro. Dovrebbero essere 39 i punti, se ho ben inteso la voce dello speaker. L’importante è aver vinto, “a sem tropp Ford”, come scrivono sull’immancabile striscione alcuni ragazzi. Vorrei che fosse sempre così, che non avesse una fine, tutto questo. E’ come se… quando rientro in panchina tutti i compagni mi salutano, c’è chi mi dà il cinque, chi una pacca sulle spalle, chi m’abbraccia. Mi volto verso di loro, l’allenatore, i tifosi, i compagni. Vorrei che potessero capire la gratitudine che nutro per ognuno di essi, vorrei che potessero capire gli strani disegni che il destino scrive sul libro delle nostre vite. Ciao, signora con l’inguardabile abito verde, anche tu sei qui a salutarci a bordo campo, quando facciamo il giro d’onore. Ciao ragazzino, sapevo che non saresti potuto mancare. Vorrei che ci fossero altri libri da leggere, la sera, prima di andare a dormire. Altre passeggiate sul lungomare, o altri pesci da pescare nel Tallahatchie. Segnare un canestro. Giocare con i miei figli. Non so come andrà a finire, ma ho imparato a vivere ogni istante, a non lasciare niente di intentato, senza mai perdere la fede, senza arrendermi di fronte al nemico. So che un giorno questa mia forza verrà meno, ma non è oggi quel giorno. Siate forti e combattete duro. Il mio cuore sarà sempre con tutti voi.

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Le parole dedicate dalla KAE Peristeri per salutare Alphonso Ford il giorno della sua scomparsa (da www.peristeri.com).

CITAZIONE
Se ne e' andato il Principe Sorridente
Quando le parole non sono abbastanza per esprimere il dolore, quando il sorriso si congela, quando le parole perdono il loro significato. Chi credeva che Alphonso Ford, l'americano con il temperamento mediterraneo e la serieta' ellenica, il giocatore con il sorriso piu' splendente, il Nostro Principe, non e' piu' con noi. A 33 anni se ne e' andato tanto violentemente, tanto velocemente, nello stesso modo con cui superava i suoi avversari.

La vita non gli ha mai sorriso. Lui sorrideva sempre. All'eta di 26 anni sono iniziati i suoi problemi ematici. Da allora non ha mai smesso per un momento di combatterli. Controlli continui, ma sembrava fosse iniziato il conto alla rovescia. Anch'egli, come se lo sapesse, ha compiuto tutto a una velocita' incredibile.

Portava in alto le squadre per cui giocava, le conduceva in maniera personale e solitaria. Prendeva l'avversario come se fosse invincibile. "Quando fa il primo passo, quando si eleva, e' cosi' potente che sembra poter distruggere la palla" diceva di lui Argyris Pedoulakis. "Andava a canestro in qualunque modo". "Quando gli guardi le mani e gli occhi, lui ha gia' fatto canestro" diceva il suo agente Nikos Lotsos. Quando si lamentava con gli arbitri si dice che vedeva in loro l'ingiustizia a cui l'aveva messo di fronte la vita...

Alphonso, "Al", era amato da tutti. Lo meritava. Era una persona che ovunque si trovasse, qualunque cosa facesse, non passava inosservata. Aveva la sua maniera per rendere felici i suoi amici e sostenitori e rendere... tristi i suoi avversari. Ora piangono tutti i suoi amici, perche' nella vita - fuori dal parquet - di avversari non ne aveva.

Non lo dimenticheremo mai. Abbiamo vissuto insieme due anni, ma sono stati cosi' intensi, cosi' significaticivi, da apparire come una vita intera...

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Dal Greenwood Commonwealth, il giornale della città di Greenwood:

CITAZIONE
Former MVSU basketball star dies
Ford died Friday of leukemia

One of the all-time leading scorers in Mississippi Valley State University and NCAA basketball history has died of leukemia.

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Alphonso Ford, who starred at MVSU from 1989-1993, died last Friday in a Memphis hospital, less than two weeks after announcing his retirement from basketball. Funeral services for the 31-year-old Greenwood native will be at 11 a.m. Friday on the MVSU campus.

Ford averaged 29.0 points during an illustrious career that saw him score 3,165 points, both school records. The other school records he owns include most points scored in a single game (51 vs. Texas Southern on Feb. 19, 1990), most points scored in a single season (915 in 1990-91), best season scoring average (32.9 ppg. in 1990-91), most field goals scored in a single season (325 in 1990-91), most field goals attempted in a single game (35 vs. Jackson State in 1993), most field goals attempted in a single season (668 in 1990-91), most career field goals attempted (2,469) and most free throws made in a single game (18 vs. Southern University on Feb. 8, 1993).

Nationally, Ford's 29.9 scoring average in 1989-90 was tops in the NCAA among freshmen. His sophomore average of 32.9 points ranked second among all Division I players. His 3,165 career points is fourth best in the history of college basketball.

Following completion of his senior year, Ford and teammate Mark Buford were both drafted by NBA teams. Ford was taken by the Philadelphia 76ers with the 32nd pick of the 1993 NBA draft and played 11 games before moving to the Continental Basketball Association and then to Europe, where he played in Turkey, Greece and Italy.

He signed a one-year contract with the Italian team Scavolini Pesaro in July before announcing his retirement two weeks ago.

Lafayette Stribling, Ford's college head coach, said his former pupil was a model student both on and off the court.

"Al was one of the best offensive players I ever coached," said Stribling. "When he had his game going, he was unstoppable. He could shoot it. He could elevate and get his shots off. He was an offensive whiz who believed no one could stop him. With him on your team, you were never out of any ballgame."

Equally impressive, according to Stribling, was the high level of respect everyone had for Ford off the court.

"Al was a guy that everybody liked," said Stribling. "He had that smile. He was a respectable guy. He was the guy that all of the teammates liked. The student body just loved him."

Among the honors Ford received at MVSU were his selection as Southwestern Athletic Conference Freshman of the Year in 1989, and first team All-SWAC selections throughout his career.

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I ricordi di Hackett su Alphonso:
www.olympiacosbc.gr/en/news/intervi...ut-alfonso.html

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CITAZIONE (9+16 @ 1/10/2009, 16:36) 
Ciao Alphonso,
dopo cinque anni forse ce l'abbiamo fatta.
Un piccolo riconoscimento, nulla di che.
Per 4 anni la società ha permesso che la maglia fosse stata insozzata da qualcun altro.Non mi frega se era Myers, poteva anche essere l'ultimo dei panchinari,non è quello il punto.
Su 15 numeri (prima) e 97 (poi) ha scelto proprio QUEL numero.
E la società glielo ha permesso.
Male, molto male.
Perdonaci.Non sovrapporre l'operato della società col cuore di chi hai conquistato sul parquet.
Ora il 10 è FINALMENTE solo tuo.Le righe di fondo, gli arresti e tiro, le penetrazioni, ora ti verranno ancora meglio, con la canotta 10 della VL addosso.Prima però alla canotta, dagli una lavata.
 
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